Qui di seguito un estratto della Tesi di Cecilia Gandini elaborata in occasione del Corso di Mental Coaching, organizzato dalla Società Sportiva Bocconi Sport Team in collaborazione con i Docenti/Coach Amanda Gesualdi ed Alberto Biffi (University Coaching), presso l’Università Bocconi di Milano.

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“Il problema non è che non so cosa fare, ma che non faccio quel che so fare!” W. Timothy Gallwey

Una delle consapevolezze raggiunta in questi ultimi anni è che i singoli individui, me compresa, sono costantemente stimolati dal contesto circostante – dalla scuola al mondo del lavoro – principalmente a correggere i propri punti deboli anziché sviluppare le proprie potenzialità e punti di forza. Tanto che sia i singoli professionisti che le istituzioni fanno unicamente attenzione all’eliminazione delle condizioni disabilitanti anziché, almeno provare, a garantire il funzionamento ottimale delle persone.

Il modello d’istruzione attualmente diffuso, a tutti i livelli, infatti, ci dota di conoscenze e competenze intellettuali, tecniche e accademiche, ma non si occupa dello sviluppo personale o interiore. Ed è proprio per questo motivo che oggi il Coaching risulta più utile che mai, tanto da fare la differenza! A suo favore inoltre, la caratteristica di essere uno strumento utile nelle situazioni di vita più disparate: nel mondo dello sport (come stimolare la squadra di calcio/pallavolo ecc…); nel mondo del lavoro (aumentare le proprie performance, essere un leader più assertivo); nella vita di tutti i giorni (combattere i pensieri negativi, accrescere il senso della propria vita). Questo perché, il Coach è un generatore di consapevolezza e pertanto, non fornisce capacità o potenzialità, ma è il cliente (c.d. Cochee) ad averle dentro di sé, esattamente come esteriormente ha il suo corpo.

Il Coaching serve a tirar fuori il proprio esclusivo potenziale individuale, visto che è proprio quando esprimiamo quest’ultimo che diamo il meglio di noi; e riesce a fare ciò fornendo ai vari Cochee gli strumenti necessari per continuare anche in autonomia il proprio percorso di crescita e sviluppo personale. Il principale strumento che il Coach ha sono le domande rivolte al proprio cliente. Le domande dovrebbero avere un respiro iniziale ampio e poi concentrarsi progressivamente sui dettagli. Questa richiesta di maggiori dettagli mantiene la concentrazione e l’interesse del cliente aiutandolo a concentrarsi su quella che si rivelerà la strada migliore da seguire. Come Coach le informazioni che ottengo facendo le suddette domande non serviranno a me perché ne faccia uso per “consigliare” ma piuttosto mi indicheranno la linea da seguire con le domande successive, consentendomi allo stesso tempo di monitorare se il cliente sta seguendo una direzione produttiva, ovvero un obiettivo raggiungibile e sfidante. Il principio è che le domande dovrebbero seguire l’interesse e il flusso dei pensieri del cliente, non del Coach, ed è qui che l’esperienza e l’impegno saranno fondamentali allo sviluppo delle mie capacità di ascolto ed osservazione per cogliere tutti gli indizi che indicano la direzione da seguire.

La scelta di spostarsi dal centro dell’azione, dicendo e prescrivendo “cosa fare” al proprio Cochee, verso il fianco di quest’ultimo, stimolando senza giudizio le sue risposte, ha la funzione di acquisire o di aumentare lo stato di consapevolezza fino al punto di rendere la persona finalmente responsabile delle proprie scelte. Tale tipo di consapevolezza è anche generatrice di una produttiva fiducia in se stessi. La sicurezza in se stessi e le performance sono spesso un’unica cosa. E se vogliamo che lo stato di performance duri nel tempo, anche l’apprendimento e il piacere devono integrarla. Performance, apprendimento e piacere sono intrecciati tra loro in modo inscindibile. Quando uno dei tre viene trascurato prima o poi gli altri due ne soffriranno. Ad esempio, la performance non può durare dove non c’è apprendimento o dove non c’è piacere.

Altra caratteristica del Coaching è quella di offrire ai propri Cochee gli strumenti giusti per “funzionare bene” anche in presenza della stanchezza o di altre emozioni “negative” (tristezza, ansia, rabbia ecc…) vivendo così in modo “eroico”. Un Coach infatti deve saper sviluppare e stimolare l’abilità di indirizzare le emozioni in senso produttivo ed avere una buona gestione del dialogo interno. Questo perché sia il pensiero che le emozioni sono indirizzate verso l’azione, e pertanto hanno conseguenze concrete. Uno stato d’animo positivo ci proietta in un modo di pensare completamente diverso rispetto ad uno stato d’animo negativo. Di fronte ad una difficoltà o ad un’opportunità le emozioni positive costituiscono delle riserve a cui possiamo attingere, ingenerando in noi stessi un modo di pensare creativo, tollerante, costruttivo, generoso, aperto e gentile che mira a individuare le virtù e non i difetti.

L’alternativa al pensiero negativo non è il pensiero positivo irrealistico, ma piuttosto un pensiero descrittivo, che permette di distinguere gli scenari peggiori e irrazionali che possono avere come principale effetto quello di paralizzare l’azione, dagli scenari più probabili e realistici. Tutto ciò non è ovviamente orientato ad eliminare e/o demonizzare la tristezza od ogni tipo di fallimento nella nostra vita! Innanzitutto, perché gli errori sono preziosi insegnamenti. Inoltre, anche un’emozione negativa come il dolore è un prezioso campanello di allarme per la vita. Come pure le nevrosi hanno la funzione di dirci che qualcosa non sta andando e che dobbiamo cambiare. Persino la fatica, lo stress,l’ansia sono alleati utilissimi per vivere meglio, quando però non ci sovrastano e sono vissuti con consapevolezza e strumenti ottimali per gestirli. Anche gli errori fanno parte del processo di crescita e sviluppo personale, e quando questi vengono visti ed accettati chiaramente per quello che sono, senza giudizio, inizia un processo di cambiamento naturale e fluido.

Apprendere ed applicare la consapevolezza senza giudizio è fondamentale per far sì di impedire alla nostra mente razionale (anche detto Sé 1 secondo l’Inner Game), nella sua accezione sanzionatoria, di iniziare a giudicare l’evento fino a giudicare se stessa nello stesso modo, fino a far diventare tali giudizi profezie che si realizzano da sole. Il segreto consiste nell’utilizzare parole descrittive invece che sanzionatorie, osservazioni invece che giudizi, proprio perché la descrizione aggiunge valore, le critiche generalmente lo tolgono. Ogni volta che denominiamo, sia tramite il dialogo interno che espressamente verso l’esterno, una realtà in modo negativo tale da sminuire persone e possibilità, riduciamo la nostra autostima e delle persone attorno a noi. Mentre descrivere la realtà così com’è, senza giudizio, dà la possibilità a noi e agli altri di trasformare situazioni limitanti e frustanti in opportunità positive. Spesso inoltre, invece di porsi la domanda: “è sbagliato?” o “è giusto?” ci si dovrebbe porre la domanda “è utile rispetto allo scopo?”.

Spesso la nostra mente razionale dipende da cose, situazioni, persone e concetti al punto da sentirsi minacciata da possibili cambiamenti. Ma la libertà dagli stati di bassa performance come può portare lo stress non impone di rinunciare a nulla, ma di essere pronti a rinunciare a qualsiasi cosa, se necessario, sapendo che si starà comunque bene, sicuri di poter contare sulle proprie risorse interiori per mantenere il proprio equilibrio. Progredire nel proprio sviluppo interiore ha proprio come fine il raggiungimento di quella stabilità interiore fondamentale per avere una vita di successo, perché no, anche economico, ma non solo.

Cecilia Gandini, Mental Coach – ceciliagandini@studiogandini.itLinkedIn

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Cenni Bibliografici:

  • John Withmore, Coaching, Alessio Roberti Editore
  • Martin E.P. Seligman, Fai fiorire la tua vita, Anteprima Edizioni
  • W. Timothy Gallwey, Il Gioco Interiore del Tennis, Lit Edizioni
  • John Withmore, Coaching, Alessio Roberti Editore

 

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