Qui di seguito un estratto della Tesi di Matteo Lucchini elaborata in occasione del Corso di Mental Coaching, organizzato dalla Società Sportiva Bocconi Sport Team in collaborazione con i Docenti/Coach Amanda Gesualdi ed Alberto Biffi, presso l’Università Bocconi di Milano.

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Buongiorno a tutti, mi chiamo Matteo. Ho scoperto di chiamarmi così verso i 6 anni, fino a quel momento ero convinto di chiamarmi indistintamente “Fermo lì”, “Zitto!” O “No!”, visto che gli adulti si rivolgevano a me in questo modo. Da sempre sono un grande appassionato di sport, in tutti i suoi aspetti: dall’evento che catalizza l’attenzione di milioni di appassionati, alla gara di condominio; l’allenamento in ogni sua parte; l’aspetto agonistico e quello ludico. Poi verso i 10 anni il mio primo grande amore: il tennis. Un meraviglioso sport che mi accompagna ogni giorno da quasi trent’anni, che vivo ancora con una passione immensa e che mi ha portato a frequentare questo corso.

Ho deciso di intitolare la mia tesina “nema problema”, in ricordo dei primi eventi sportivi che seguii in tv: la Yugoslavia degli anni Novanta. Mi ricordo ancora di questa squadra fortissima e delle telecronache di Sergio Tavcar che coniò questo termine per indicare il loro modo di giocare: tutto corsa e “poco ragionato”, proprio senza porsi, all’apparenza, grandi problemi. Ero affascinato da questo modo di giocare e intendere lo sport. Ai tempi ero un tennista alle prime armi, alle prime esperienze di partita e giocatore, che rischiava il punto solo quando l’avversario era sdraiato in un angolo. Insomma l’esatto opposto del nema problema!

Quasi una decina di anni fa ho fatto un viaggio che ha cambiato di molto la mia percezione della vita e mi ha fatto capire tante cose: sono stato in Kenya. Ho sperimentato anche io il “mal d’Africa”, che non è solo la mancanza di terre meravigliose, ma anche la mancanza di persone straordinarie. Persone sempre sorridenti, felici per le piccole cose. Mi ricorderò sempre di quando, non potendo dare una matita a un ragazzino conosciuto sulla spiaggia perché le avevo già regalate ai bambini della savana, lui mi guardò sorridendo e mi disse: “hai fatto bene! Loro sono poveri e non possono comprarsele!”. Per me, che quasi non mi godevo la serata se nel locale non prendeva il cellulare o avevo la batteria scarica, fu una reazione incredibile che mi fece pensare molto. E poi, tutto il giorno a ripetere “Hakuna Matata!”. Persone che vivono con niente (dire niente è migliorativo in tanti casi..) che non si fanno mai problemi di nulla. Tornai a casa folgorato come Paolo sulla via di Damasco.

Ed è così che dal nema problema della Jugoslavia baskettara, all’hakuna matata degli amici del Kenya cominciai ad avere chiaro come volevo diventare e dove volevo arrivare, anche se non sapevo come. Fino a quel momento il mio era un vagare senza meta e poco organizzato, con una grande etica del lavoro, ma evitavo tutto ciò che costasse fatica al di là del lavoro. Ero anche convinto che tutto quello che non andasse bene fosse colpa del Fato, di Dio o di qualcun altro. Mi lamentavo in continuazione, ma avevo paura di prendere dei provvedimenti. Volevo che molte cose cambiassero, ma mi rifiutavo di cambiare me stesso. Poi negli ultimi anni ho conosciuto tre persone meravigliose che hanno dato un grandissimo contributo a migliorare me stesso e la mia vita. Innanzitutto mia moglie Cristiana, perché proprio come negli archetipi il passaggio da clown, o briccone, a Folle Saggio avviene quando il Folle sperimenta l’iniziazione attraverso l’Amore, così io, grazie al nostro amore, ho imparato a impegnarmi di più nelle relazioni, nelle idee e nei valori. Poi Vittoria e Pietro, i miei bimbi, fonti inesauribili di stimoli, di spunti, di voglia di mettersi in gioco, di coaching!

Così ho imparato una cosa che all’apparenza sembrerà banale, ma non lo è affatto. Fino a quando attribuiamo all’esterno la causa delle nostre lamentele, poco e niente potrà cambiare. Nessuno su questo pianeta è mai stato così potente da cambiare qualcuno. Cambia solo chi vuole cambiare. E talvolta lamentarsi è solo la strada più semplice per evitare di agire, per non assumersi responsabilità. Ma se saremo disposti a guardarci dentro, allora capiremo che molto del nostro dolore lo stiamo scegliendo. Magari con una non scelta. Così come scegliamo sempre le nostre emozioni.

Mentre per un certo periodo mi sembrava di vivere come la particella di sodio della pubblicità dell’acqua Lete, dove questa particella vaga da sola dentro la bottiglia, ora vedo negli altri sempre una possibilità di crescita. Parafrasando quella pubblicità, la particella di sodio non sarebbe più sola perché ci sono anche le particelle di calcio, di magnesio…. Ed è così che all’interno delle mie giornate ci sono tre parole che si ripetono continuamente: responsabilità, passione e gentilezza. Queste tre parole racchiudono sostanzialmente la mia filosofia personale. Responsabilità delle mie azioni e di come queste hanno influenza sulla vita degli altri. Oltre a chiedermi se quello che faccio mi soddisfa, mi interrogo anche su come avrà riflesso nella vita dei miei figli e delle generazioni future. Responsabilità perché io sono il protagonista delle mie scelte e di queste devo rendere conto solo a me stesso. Ma responsabilità intesa anche come response-ability, ovvero la capacità di rispondere e adattarmi all’imprevedibilità della vita. Questo perché la vita ci porta sempre infinite sorprese, il modo in cui reagiamo e ci comportiamo di fronte ad esse fa la differenza.

Ci sono tante situazioni difficili e gravi, noi possiamo scegliere di rispondere a queste situazioni in un modo che ci porti a crescere per provare a riottenere la felicità e per poter raggiungere gli obiettivi. Responsabilità verso i miei figli perché le mie scelte coinvolgono anche loro. Come adulti siamo, in generale, meno felici di come ce lo eravamo immaginati da adolescenti. Purtroppo in molti casi stiamo dando l’impressione ai giovanissimi che essere grandi non sia tanto figo. Riuscire a riappropriarci della nostra felicità è un atto di grande responsabilità e aiuterebbe a vivere meglio.

La passione è tutto quello che mi spinge a fare le cose. Metto sempre passione in ogni cosa che faccio e in ogni progetto. Ho la grande fortuna di aver trasformato la mia più grande passione nella mia attività lavorativa e questo mi aiuta ad affrontare al meglio le mie giornate. Come in ogni cosa c’è il rovescio della medaglia, infatti faccio sempre molta fatica, o tendo a non fare, le cose che non mi appassionano e mi pesano. Nella società di oggi c’è molta aggressività e in molti casi nessuno spazio per la gentilezza. Non troviamo quasi mai il tempo per chiederci perché una persona ha agito in un certo modo. Ma siamo subito pronti ad aggredirlo. Invece dovremmo imparare a trattare le persone con gentilezza e a interrogarci di più sul perché dei loro comportamenti. Il grande Roger Federer in un’intervista ha dichiarato: ”È bellissimo essere importanti e famosi, ma è molto più importante essere gentili”.

Matteo Lucchini, Mental Coach di Primo Livello – International Tennis Coach GPTCA – Maestro Nazionale di Tennis UISP – Educatore Sportivo CONI

matteo.vittoria2014@gmail.com

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