Camilla Lugli, già Mental Coach di Primo Livello, sta perfezionando il suo percorso frequentando con successo il Corso per divenire Mental Coach Pro. Camilla ha un passato da atleta, ed è Insegnante di Tennis ed Educatrice Sportiva Olistica, qui di seguito ci presenta una bellissima relazione sul libro “Capolavori” di Mauro Berruto.
Mauro Berruto laureato in filosofia all’università di Torino con una tesi in antropologia, maturata da una ricerca sul campo in Madagascar. Allenatore della nazionale italiana di pallavolo (e prima di quelle greca e finlandese), e di 5 campionati. Direttore tecnico della nazionale italiana di tiro con l’arco, passando da amministratore delegato della Scuola Holden.
Capolavori è un libro in cui l’autore, Mauro Berruto ci racconta il suo percorso formativo ed esperenziale. Mostrandoci la sua visione ben chiara, diretta e semplice di come lo sport e l’arte diventino una cosa sola, e ci mostrino bellezza ed armonia. Il libro si apre con la descrizione del giorno in cui Mauro Berruto (allenatore), insieme alla nazionale italiana di pallavolo, hanno lottato per conquistare una medaglia olimpica, alla trentesima Olimpiade a Londra. In questa descrizione ci sono molti elementi di Coaching, soprattutto la percezione delle circostanze inedite, nulla è come se lo aspettavano. Certi di aver preparato alla perfezione quella performance, si sono ritrovati ad affrontare condizioni completamente diverse. Il discorso che Mauro Berruto fa prima di entrare in campo ai suoi ragazzi è semplice, concreto, incoraggiante fiducioso e potente. Penso sia una chiave di lettura importantissima e quindi riscrivo quello che lui dice:
“Ragazzi voglio raccontarvi una storia. È la storia di un atleta, non lo conoscete, è un saltatore in alto e ha il vostro stesso sogno: vincere una medaglia olimpica. Questo saltatore insieme al suo staff, si è preparato in maniera meticolosa. Ha lavorato come un matto per 4 anni su ogni dettaglio per avere tutto sotto controllo. Ha persino studiato, in modo scientifico, le condizioni meteorologiche di Londra, scoprendo che ogni 12 agosto degli ultimi cinquant’anni ci sono stati 24 gradi, un tasso di umidità del 70%, una brezza leggera di 4-5 nodi che soffia da sud- est, a favore di rincorsa. Per quattro anni, ogni singolo giorno, si è allenato ricreando esattamente quelle condizioni. Il giorno della finale entra sulla pista dello stadio olimpico e piove. Fa freddo tira il vento forte, la pedana è scivolosa. Cosa fare, la medaglia sarà comunque assegnata quel giorno e la vincerà chi sarà più agile degli altri. Sì, “agile” è un aggettivo che ha un significato legato alla fisicità, certo ma che è anche un concetto intellettuale. Identifica chi è più veloce ad adattarsi, più rapido a sabarazzarsi dalle zavorre, a cogliere prima degli altri alcuni dettagli, a orientare tutto ciò che sta facendo verso il proprio obiettivo senza dispersioni di energia. Vincerà se saprà essere più leggero”.
Nella seconda parte Berruto dice: “Non pensiate che tutto ciò che avete fatto da quando siete bambini, inseguendo quel sogno, sia stato inutile. Tutt’altro! Senza quelle cose, senza quella disciplina, quella volontà di sacrificio, quell’ossessione per i dettagli non sareste qui, oggi. Ci sarebbe qualcun altro seduto in questo spogliatoio, al vostro posto. Tuttavia, qui e ora, credo che dovremo capire in fretta quanto sia fondamentale sbarazzarsi di quello che abbiamo fatto. Perché quello che abbiamo fatto ci ha portato fin qui, ma l’ultimo chilometro lo dobbiamo correre da soli, senza protezione, godendo della bellezza di ciascuno di questi ultimi passi. Come se stessimo esplorando un meraviglioso continente dove nessun umano ha ancora messo piede. Voglio dirvi un’ultima cosa: sono orgoglioso di essere qui oggi, con ciascuno di voi, sotto questa pioggia!”.
In parte penso si rivolga sia al “Sé 1” che al “Sè 2” di T. Gallwey, e soprattutto al fatto di aver fiducia nel Sé 2 senza giudicarsi, e di esserci e farsi trasportare dall’apprendimento naturale, per poi vivere uno stato di flow. Quella mattinata riescono a vincere ed aggiudicarsi la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra, pazzesco! A proposito di questa medaglia mi ha colpito una pagina in cui Berruto parla della bellezza del viaggio, di come sia la bellezza del gesto a cambiarci la vita e non la vittoria. “La bellezza del gesto che inseguiamo non è nel numero di trofei o degli zeri su un contratto, ma bisogna cercarla in quel viaggio che accompagna ogni squadra dal giorno in cui definisce il suo obiettivo al giorno in cui lo raggiungerà oppure no. In entrambi i casi quel luogo sarà un posto dove identità, relazioni, storia, si dissolveranno in virtù di un sacrificio necessario, per ripartire e rimettersi alla prova”.
Mauro Berruto poi racconta di aver allenato bambini delle scuole elementari, ragazzini di settore giovanile, dilettanti, atleti professionisti, campioni olimpici. Ha allenato in altri posti del mondo, come la Grecia e la Finlandia, confrontandosi con modelli culturali profondamente diversi. Ha allenato in 2 discipline completamente diverse, la pallavolo ed il tiro con l’arco. L’ha fatto senza essere stato né un bravo pallavolista, né un arciere. Ci spiega che all’etá di sette anni vide in televisione Nadia Comāneci con i suoi 10” nel concorso di ginnastica ai Giochi Olimpici di Montreal. Quell’immagine, racconta che ha avuto un grande impatto sulla propria vita. Se dovesse scegliere le due conseguenze più importanti non avrebbe dubbi, da una parte uno sconfinato amore per lo sport, tutto, dall’altra la consapevolezza di quanto sia importante, bella e appagante, la capacità di saper fare bene un gesto. Arrivando alla perfezione come Nadia Comāneci, oppure inseguendola. Il gesto che ha rincorso Berruto, é un gesto che si può esercitare, nella sua purezza e più alto significato, in una squadra sportiva, in un’aula scolastica, in un ufficio, in un consiglio di amministrazione, in un ospedale, in famiglia… ecc.
È un gesto affascinante che regala, a chiunque lo eserciti, il privilegio di aiutare le persone a realizzare il proprio potenziale, tendendo verso l’eccellenza: é il gesto dell’allenare. Quello che mi ha affascinato di più in questo libro è la contaminazione esperienziale letteraria e artistica.
Sono tante, le opere d’arte che cita Berruto in Capolavori. Dal blu inseguito da Klein per tutta la vita, allo splendido Pugile in riposo. I capolavori sportivi che hanno armonizzato, dipinto un gesto fluido di bellezza. Yuri Chechi veniva da un gravissimo infortunio che gli avevano fatto disertare le Olimpiadi di Barcellona che lo vedevano favoritissimo. Quattro anni dopo, prima di salire in pedana nell’esercizio agli Anelli alle Olimpiadi di Atlanta, ha pensato che la sua fortuna fu uscire per ultimo e con la consapevolezza che i suoi avversari avevano fatto un esercizio quasi perfetto. Ha avuto 40 secondi di tempo per eseguire il suo capolavoro: si vince quando prevale il desiderio: questa è la parola fondante del gesto di allenare. Insomma allenare è allenare al desiderio di fare. “Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito…” ci insegna Antoine de Saint-Exupéry.
Egoismo di gruppo, momento che non è frequente, che va ricercato quando qualcuno fa un piccolo gesto, ma che si ritiene decisivo per la vittoria finale. È capitato con Chechi. La sera prima della finale l’atleta aveva un dolore terribile alla spalla, ma Salvatore Scintu, il suo massaggiatore lo ha curato e massaggiato, contribuendo in modo determinate alla vittoria: “Ad Atlanta Jury Chechi soffriva di un fastidioso mal di schiena, lo massaggiai fino alle tre di notte e l’indomani vinse l’oro agli anelli”. Senza quel massaggiatore, forse Jury non avrebbe fatto il suo capolavoro. Interessante è l’accostamento tra capolavori artistici e sportivi, semplici e immediati, imperfetti. “Grandi talenti sono tali in quanto individui unici”. Come racconta nel finale del libro, l’allenatore ha il compito di creare le condizioni affinché il loro talento possa esplodere. La scienza ci insegna come non esista un processo di motivazione dall’esterno verso l’interno. La pillola della motivazione non esiste, e non esisterà mai. Qualunque processo di motivazione parte dall’interno ed esplode a seconda delle condizioni che l’allenatore riesce a ricreare. Un pò come nella scultura. Secondo un maestro come Michelangelo, nella scultura bisogna semplicemente togliere quello che c’è di troppo, il suo famoso David era già all’interno della materia grezza su cui ha cominciato a lavorare. L’allenatore realizza il suo compito quando non serve più, e questo è un fatto terribile ed emozionante. Penso che questo libro dia tantissimi spunti di Coaching nati da una vasta esperienza, conoscenza, e curiosità.