Riccardo Santolamazza (nelle foto sottostanti), che sta seguendo un percorso per divenire Mental Coach di Primo Livello, ci offre una breve analisi del film “Coach Carter”. Riccardo è stato un giocatore professionista di Basket, Playmaker della Wurth Virtus Roma (A1, 2001/2002) e successivamente dell’Angelico Biella (A1, 2007/2008).

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Coach Carter è un film del 2005 diretto da Thomas Carter e interpretato da Samuel L. Jackson. L’autore della sceneggiatura è Mark Schwahn, in seguito creatore della serie televisiva di successo One Tree Hill. Ispirato ad una storia vera, il film narra la vicenda di Ken Carter, ex giocatore professionista di basket, che si trova ad allenare gli Oilers della Richmond High School, scuola dove, tra l’altro, ha mosso lui stesso i primi passi. La squadra, formata da ragazzi appartenenti a famiglie molto povere e in alcuni casi già sulla via della delinquenza, dopo le iniziali schermaglie trovano in Carter un mentore e ispiratore per un futuro migliore. Dopo duri allenamenti che porteranno la squadra a riscattarsi in campo, il coach riuscirà a rendere consapevoli i suoi giocatori che la via per migliorare la loro vita passa attraverso l’istruzione: spingendoli a studiare e grazie alle loro capacità nel basket, li motiverà a conquistare borse di studio che consentano loro di compiere studi universitari.

“Film che ho visto più volte e che adoro particolarmente; lo considero, insieme a “He got game”, la pellicola più riuscita riguardante il mondo del basket. Quando è uscito nelle sale, stavo agli inizi della mia carriera da professionista di giocatore di pallacanestro e mi ha aperto definitivamente la mente riguardo l’importanza dell’istruzione e del fatto di diventare “uomini” prima che “giocatori”. Ne ho avuto conferma nel corso delle mie stagioni sportive: per arrivare a essere il miglior giocatore possibile, devi essere prima la miglior persona possibile. Tendenzialmente non mi fanno impazzire le persone così rigide e severe come Coach Carter, ma mi rendo conto che in certe situazioni sia necessario esserlo per arrivare a determinati grandi obiettivi. Una scena che mi ha colpito particolarmente è quella in cui il giocatore più problematico e turbolento della squadra, dopo che aveva appena vissuto l’omicidio dello zio in strada, si reca a casa di Coach Carter nel cuore della notte per chiedergli di farlo tornare in squadra, Samuel Jackson, capendo immediatamente che fosse successo qualcosa di grave e che andava ben oltre il campo da basket, lo abbraccia forte e lo consola senza chiedergli spiegazioni. Ci sono momenti della vita che vanno oltre un allenamento o una partita: purtroppo personalmente l’ho capito tardi, infatti un mio rammarico grande è quando è nata la mia prima figlia e non mi sono goduto la nascita, né i suoi primi giorni perchè avevo gli allenamenti e la partita di campionato.
Mi è piaciuto tantissimo anche come Coach Carter usasse la sua storia personale con le donne, per dare i nomi alle diverse situazioni offensive e difensive, anzichè chiamarle solo con un semplice gesto o numero.
Un altro elemento che mi porto dentro di è la coerenza con cui si comporta in palestra e nella vita di tutti i giorni, cercando di essere da esempio per gli altri.”

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