Diana Monique Picciotto – una volta laureata in Economia Aziendale con una specializzazione in Marketing (presso l’Università Bocconi), è stata Business Development Director della Compaq Computer, Direttore SMB della Hewlett Packard, Direttore Co-marketing della Market Shared e Events & Exhibitions, per poi esercitare la libera professione e divenire anche Mental Coach di Primo Livello – condivide un estratto della sua tesi presentata a Maggio 2020.

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Questo corso mi ha dato lo spunto per ripercorrere con nuovi strumenti e consapevolezza la strada percorsa, la mia strada.

Ho ritrovato velocità e lentezza, la sensazione di come in alcuni periodi convivevano in armonia: la velocità erano gli studi, il tennis, gli anni che correvano, la fretta di imparare e di diventare indipendente. La lentezza erano le lunghe chiacchierate con l’amica del cuore, quelle migliaia di ore che ho passato con lei e che non passerò probabilmente con nessun altro, e poi il dilatarsi del tempo quando nelle domeniche estive osservavo dei signori giocare a scacchi, quando ricalcavo immagini di cavalli appoggiando il foglio alla finestra e viaggiavo con la fantasia. Lì ero connessa.

Poi la lunga corsa dopo la fine degli studi: il lavoro, appassionante e ricco di insegnamenti; l’amore, l’essere in due e stare bene, e diventare 3 e poi 4, il miracolo delle nuove vite, i primi passi, le prime parole, il primo giorno di scuola, la prima vacanza in camp e… nel conciliare tutto perdermi, allontanandomi senza accorgermi dal mio centro, sacrificando, alle volte consapevolmente e molte altre inconsapevolmente, la mia spiritualità.

E poi, dopo tanti anni, all’improvviso una scatola, mi sono ritrovata a pensare che vivevo in una scatola, mi muovevo e lavoravo in una scatola, mangiavo in una scatola. In queste e altre scatole si svolgeva la mia vita, e mi osservavo, senza preoccupazione né giudizio. Finché una mattina ho realizzato che la scatola era quello che avevo dentro, che si erano chiusi i miei spazi, il mio desiderio di crescere e apprendere, di sperimentare e reinventarmi. Cosi si è aperta una nuova possibilità, espandere la scatola fino a farne sfumare i bordi e farla volteggiare nell’aria, come quando nel film UP, la casa di Carl Fredricksen, il burbero pensionato, decolla attaccata a centinaia di palloncini per andare in un posto che non sa, a cercare qualcosa che non sa, e finalmente evolve. Tutto fluiva nuovamente e io potevo trasformarmi.

E allora svuotavo la mente, creavo nuovi spazi dentro e fuori di me, facevo lunghe passeggiate in montagna con i cani e quell’estate, quando la gatta rientrava poco prima dell’alba dalle sue scorribande notturne, aspettavamo insieme il sorgere del sole e il nuovo giorno mi trovava piena di fede, la fede in me stessa e nelle mie possibilità. Così ho ritrovato il mio tempo e il mio spazio per approfondire, perdermi nei pensieri, ho imparato a lasciare andare e mi sono sentita libera. Ed eccomi qua, a proseguire il cammino che ho scelto, con la mia storia, la mia esperienza, la mia biologia, e gli strumenti che la vita e anche questo corso mi sta dando.

Ho imparato che dobbiamo occuparci del nostro inconscio perché tutto ciò che è irrisolto non fluisce, non si trasforma e che lavorare su noi stessi è un percorso senza fine, ed è questa la parte appassionante. La strada che per me ha un cuore.

Ho imparato che occorre osservare i nostri pensieri ed emozioni fluire senza attaccarci ad essi e senza alimentarli, che tutto ciò che vediamo non è tutto ciò che c’è, ma il riflesso di noi stessi nel mondo, delle nostre molteplici personalità e punti di vista.

Ho imparato che è opportuno non dare troppa fiducia alle proprie intuizioni perché gran parte di ciò che percepiamo nella nostra vita non ha a che fare con ciò che ci succede ma con come.

Ho imparato che se non riesco a risolvere un problema, non devo prenderlo di petto ma posso diventarne amica, posso familiarizzare con il problema e guardarlo dalle diverse angolazioni finché non diventa qualcosa di conosciuto che convive con me fintanto che io non possa trovare una soluzione. Sempre che una soluzione ci sia.

Ho imparato che occorre allenarsi ad essere ricettivi ai segnali provenienti dal nostro corpo, dai nostri sensi, dalla nostra coscienza e dagli altri che ci sono intorno, che occorre fare spazio all’interno di noi per capire di cosa abbiamo veramente bisogno, cosa stiamo cercando, e come risolvere le nostre perdite per accogliere il nuovo.

Ho imparato a non accumulare argomenti di conversazione, ma spunti di azione, a mettere in pratica ciò che sento piuttosto che raccontarlo.

Ho imparato che occorre aprire alle potenzialità, liberare le possibilità, che le emozioni e le esperienze positive, l’abitudine a stare bene sono la forza e il potere che ci supportano nei momenti di difficoltà.

Ho imparato che occorre allenarsi a rimanere nel qui e ora, a stare nel presente, a essere attenta e concentrata, e che attenzione e concentrazione si allenano praticandole.

Ho imparato a fare il tifo per me stessa e a guardare agli altri come parti di me, Diceva Hillel, e ancora scriveva Pessoa, “Conta il risultato. Ciò che abbiamo sentito è ciò che abbiamo vissuto”.

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