University of Coaching intervista Fabio Michelini ex pro-gamer, ovvero giocatore professionista negli eSports, che sta seguendo con noi un Percorso per divenire Mental Coach. La preparazione mentale negli eSports è determinante, il cyber-atleta dà molta importanza al Training Mentale, ecco perché abbiamo intervistato Fabio, andando ad esplorare un altro “volto” del Mental Coaching. Buona lettura!
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UC: Quando hai scoperto e cominciato a giocare agli eSports?
FM: Con il termine inglese eSports (eletronic sports) si fa riferimento a quei videogiochi giocati a livello competitivo organizzato e professionistico. Scoprii i giochi elettronici fin da bambino, ma ne approfondii la conoscenza quando, nel 2011, all’età di 14 anni, in seguito ad un infortunio calcistico e a malumori all’interno della squadra, decisi di smettere. Il mondo virtuale, che in piccola parte già conoscevo, fatto di nuove amicizie e di tanto divertimento, mi aveva fin da subito colpito, trovando un ambiente molto più accogliente.
UC: Cosa ti ha appassionato?
FM: Non saprei sinceramente rispondere a questa domanda. Quando gioco entro facilmente in uno stato di flusso, ed è probabilmente questa la sensazione che mi ha fatto tanto appassionare.
UC: Cosa ne pensavano i tuoi genitori?
FM: I miei genitori inizialmente non erano contrari, ma vedendomi passare sempre più ore al computer, a discapito dei libri e dello studio, presto lo diventarono. Essendo nati in un’epoca totalmente diversa da quella odierna, non potevano di certo comprendere il potenziale dei Videogames, anche se, ci tengo a sottolinearlo, un buon rendimento scolastico è la base per qualsiasi carriera. Non ho mai perso nessun anno, ma più volte ho dovuto affrontare il disagio psicologico che il cattivo rendimento scolastico comportava, influendo anche sulle performance sportive.
UC: Che risultati hai ottenuto?
FM: Nell’anno 2014\2015, insieme alla mia squadra, vincemmo tutte le competizioni sportive italiane, diventando a tutti gli effetti, i campioni di quella stagione sportiva. In seguito a quelle performance, la squadra fu “comprata” e io mi ritirai per concentrarmi maggiormente sugli studi. Dopo circa un anno ripresi a giocare in diversi team, tra cui europei, senza trovare una vera stabilità. Con sempre meno tempo a disposizione, decisi di abbandonare il gioco in team per dedicarmi unicamente alla classifica (ranking), dove, visto il mio alto livello, ebbi l’opportunità di giocare e, a volte vincere, contro giocatori di fama mondiale. Oltre ai risultati in gioco e un po’ di fama a livello italiano, ho sviluppato un’ottima padronanza della lingua inglese, sorprendentemente, con molta più facilità rispetto agli studi tradizionali della scolastica italiana.
UC: Quale è stato il risultato o la situazione che ti ha dato maggior soddisfazione?
FM: Sicuramente diventare Campione Italiano insieme alla mia squadra è stata una grandissima soddisfazione, soprattutto perché le fasi finali dei tornei erano organizzati dal vivo con la presenza di diversi spettatori. In quei momenti ci si univa ancora di più con i propri compagni di squadra che spesso “vedevi” solo online. La maggior soddisfazione, però, è venuta quando mi dedicai a migliorare la mia posizione nel ranking. Durante una partita vinsi contro uno dei giocatori più famosi al mondo, trasmessa in streaming, contava oltre 23.000 spettatori che stavano seguendo la diretta e che, di conseguenza, stavano seguendo anche me.
UC: Quali sono stati gli aspetti positivi e negativi della tua esperienza con gli eSports?
FM: Attraverso gli eSports, ho conosciuto e stretto amicizia con tantissimi giocatori provenienti da ogni parte del mondo. Alcune amicizie le porto ancora avanti, non posso certo dimenticarmi di chi, senza avermi mai visto, mi ospitò a dormire a casa sua. Gli eSports hanno inoltre formato parte del mio carattere essendo stato spesso in contatto con persone più adulte e mature di me. Imparai la lingua inglese che mi permise di avere ottimi voti a scuola, ma soprattutto di stringere amicizie che altrimenti non avrei potuto fare se non mi fossi reso culturalmente più “aperto”. Scoprii il mio talento verso questo sport, anche se, finita la scuola, per mancanza di coraggio decisi di portare avanti l’azienda di famiglia invece che cercare di emergere ulteriormente e di fare degli eSports il mio lavoro. Ho avuto però diversi aspetti negativi concentrandomi solamente sugli eSports. Trascurai molte delle mie numerose amicizie, così come il mio corpo. Questo mondo diventò presto una dipendenza che mi occupava, quando ancora andavo a scuola, fino a 8 ore giornaliere. Solo con il tempo riuscii da solo a gestirla e ad oggi posso affermare che gli eSports, o più in generale i videogiochi, sono un valore aggiunto se sappiamo farne un buon uso. I giochi elettronici sono anche un rifugio per le persone che hanno dei problemi ad inserirsi nella società. È uno sport equo dove non devi sperare di essere nato alto, o con determinate doti fisiche per eccellere.
UC: Sembra che molti atleti ne diventino dipendenti, è capitato anche a te? Se si, come mai?
Come già accennato in precedenza, anche io ne divenni dipendente. A differenza degli sport fisici, negli eSports, anche dopo una sessione di 8 ore, se sei stanco, riesci a continuare a giocare senza troppi sforzi. In un gioco dove il ranking è uno “status symbol” che influisce notevolmente sull’umore del giocatore e sulle sue possibilità di emergere e di venire scelto da un team, si fa di tutto per migliorarlo. La mia dipendenza non era verso il gioco in sé, ma verso il mio ranking. Alla fine della giornata, se si era abbassato a causa delle sconfitte, faticavo addirittura a dormire. Avere un ranking alto è sinonimo di bravura e ti permette di essere visto in una maniera totalmente diversa dagli stessi giocatori, sia in gioco che fuori. Ancora oggi vengo trattato con ammirazione da chi è a conoscenza degli eSports e del mio ranking raggiunto.
UC: La figura del Mental Coach è ad oggi molta diffusa negli eSports, hai avuto esperienza in tal senso? Puoi darci qualche dettaglio?
FM: Ho avuto qualche esperienza con i Mental Coach e ritengo che, soprattutto negli eSports, sia una figura fondamentale ed è il campo ideale dove poter esercitare tale professione. Il mio Team era composto da cinque giocatori, un Allenatore ed un Mental Coach. L’atteggiamento della squadra, soprattutto nei momenti di sconfitta, determinava il risultato della partita successiva. Ci sono tantissimi team e giocatori che fanno degli eSports il proprio lavoro, ma ancora di più quelli che fanno degli eSports uno svago post-lavoro o università, dove però il posizionamento nel ranking diventa un loro importante obiettivo dove poter ricercare la propria realizzazione. Un Mental Coach può facilmente trovare lavoro all’interno degli eSports, ad oggi anche in Italia, nei team più professionali o con i singoli giocatori. È anche il terreno fertile dove poter fare semplicemente pratica, in meno di una giornata, infatti, numerosi giocatori ne farebbero richiesta se ci fosse la possibilità.
UC: Ti vedi fare il Mental Coach negli eSports?
FM: Assolutamente sì, e non vedo l’ora di dare il mio contributo!
UC: Consiglieresti ai giovani di praticare gli eSports?
Gli eSports non hanno confini. Consiglierei ai giovani di praticarlo per avere una maggiore apertura mentale avendo, come è capitato a me, l’opportunità di conoscere e di stringere durature amicizie con giocatori provenienti da ogni parte del mondo, conoscendo culture diverse e perfezionando così la lingua inglese. Inoltre, a differenza degli sport tradizionali dove la genetica del corpo spesso svolge un ruolo fondamentale, negli eSports così non è, ogni giocatore ha la possibilità di costruirsi una solida carriera. È però fondamentale avere autocontrollo, non si devono trascurare i rapporti sociali, così come la propria forma fisica. È anche fondamentale la scelta del gioco, non tutti, infatti, possono trasformarsi in un lavoro.