Sono Cristina Mauri (wikipedia), ho conseguito due titoli ai Campionati Mondiali di Sci d’Erba e sono Mental Coach Pro. Qui di seguito un estratto della mia tesi di fine corso di Mental Coaching di Primo Livello: “Il Coaching nella riabilitazione neurocognitiva”.

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Come molte altre persone, il Coaching l’ho incontrato senza sapere cosa fosse, quando da atleta cercavo il modo migliore per ottenere quei risultati che stavo cercando, quei miglioramenti che il mio allenatore mi chiedeva, ma che io non riuscivo a fare. Dopo l’ennesima uscita di pista durante un allenamento, mi sono fermata, ho tolto gli sci e sono tornata in cima a piedi. Lungo la salita ho continuato a ripetermi cosa dovevo fare. Ero determinata, ma non arrabbiata, e il mio dialogo interno era risoluto ma positivo, incoraggiante e non pieno di critiche nei miei confronti come il solito. Questo è stato il mio punto di svolta, qui ho capito che accusarmi di non essere in grado di fare una cosa non portava nessun risultato. Da qui in avanti però, per ottenere il massimo da me come atleta, la strada era ancora lunga. A quei tempi non esisteva la figura del coach e quindi dovevi lavorare da sola per trovare la strada giusta.

La mia più bella gara è stata quando per la prima volta ho vinto i Campionati Mondiali Assoluti. Avevo sedici anni e non credevo di essere in grado di ottenere risultati così importanti. La più bella ma manche è stata l’ultima dei Campionati del Mondo alla vigilia del mio ritiro. Avevo 34 anni, quando, dopo una prima manche nella quale non ho sciato per niente bene, ho avuto un dialogo interno molto breve ma risoluto. In fin dei conti sapevo cosa valevo e una volta arrivata in partenza conoscevo la pista perfettamente, e sapevo benissimo dove dovevano passare i miei sci, quindi dovevo solo farlo! Passato il traguardo non avevo dubbi, avevo dato il massimo e avevo sciato come volevo. Non ho più guardato i tempi fino alla fine della gara quando mi sono resa conto che il miglior tempo di manche era il mio, ma in fin dei conti non ne ero stupita…

Cinque anni fa mia figlia ha avuto un brutto incidente, per il quale ha passato 25 giorni in coma, e dal quale nonostante i timori dei medici ne è uscita molto bene. La strada per arrivare a muoversi liberamente, e tornare a scuola con risultati sufficienti, è stata molto lunga, e difficile, ancora oggi la riabilitazione è presente nella sua vita di ogni giorno. Dopo i primi mesi di fisioterapia presso l’ospedale nel quale era ricoverata e due anni passati a fare altra fisioterapia in una clinica specializzata, ci siamo avvicinate alla fisioterapia neuro-cognitiva. La fisioterapia neuro-cognitiva prevede degli esercizi nei quali il paziente partecipa attivamente nel lavoro, proprio perché deve ricostruire connessioni perse. Gli esercizi sono calibrati sulla persona, sia dal punto di vista dell’impegno che questa riesce a sostenere, più precisamente in termini di concentrazione, sia per quanto riguarda le possibilità cognitive, sia per gli obiettivi della persona stessa. La fisioterapia neuro-cognitiva prevede degli esercizi nei quali il paziente deve lavorare in prima persona per ottenere un risultato. Questo tipo di fisioterapia, infatti, lavora con il corpo e non sul corpo della persona malata.

Per organizzare le sedute di fisioterapia neuro-cognitiva ho utilizzato il modello Grow. Per prima cosa bisogna stabilire quali siano gli obiettivi, sia a lungo termine, sia quelli della singola seduta. Quindi, se l’obiettivo a lungo termine è di compiere un’azione con la mano, le singole sedute avranno micro-obiettivi rivolti alla sensibilità tattile, oppure all’uso corretto della muscolatura necessaria a compiere il movimento. Alla fine di ogni seduta facciamo il punto sugli esercizi che abbiamo svolto e a cosa ci hanno portato, sia in positivo che in negativo. Questo è molto importante per non perdere di vista l’obiettivo prefissato, ma anche per mettere l’accento sugli aspetti positivi che abbiamo ottenuto dagli esercizi eseguiti. Spesso utilizziamo dei ricordi, perché aiutano a riportare alla mente le sensazioni che provava mentre eseguiva il gesto. Molto utile è la visualizzazione del gesto che utilizziamo ogni volta in preparazione all’esercizio che stiamo per svolgere. Devo poi prendere in considerazione vari aspetti come, ad esempio, se un esercizio dà il risultato ricercato oppure va modificato o adattato ad un arto che non sempre è collaborativo come si vorrebbe. Quando si fissa un obiettivo è poi importante mantenere ben in mente dove si vuole arrivare, tenendo ben presente che la strada per raggiungere l’obiettivo è lunga e, se non ci si impegna a sufficienza, l’obiettivo ci sfuggirà. Per questo diventa molto importante prendere in considerazione il momento in cui verrà applicato l’esercizio e il momento in cui poi lei potrà mettere in pratica nel quotidiano ciò che ha imparato durante l’esercizio. Le domande che le pongo sono rivolte a far sì che io capisca se sto lavorando nel modo corretto, ma anche se lei riesce a percepire sensazioni positive dall’esercizio, oppure se l’esercizio le crea confusione, o ancora se addirittura va a contrastare con stimoli acquisiti in precedenza.

In sintesi, una seduta di fisioterapia con mia figlia inizia con un colloquio nel quale io le spiego gli esercizi che ho intenzione di farle fare e perché. Lei gli esercizi li conosce perché li abbiamo imparati con la fisioterapista, ma se serve sappiamo apportare alcune modifiche, o comunque ci proviamo. Lei conosce già quale sarà la competenza sulla quale interverrà l’esercizio e quindi è in grado di discuterne con me ed eventualmente modificare gli esercizi scelti. In sostanza il Coaching mi ha permesso di creare un linguaggio positivo e produttivo, mantenendo il focus sull’obiettivo e sulla qualità degli step necessari per raggiungerlo.

 

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