Norman Pagani – Mental Coach di Primo Livello, Direttore globale Total Reward e mobilità internazionale, Membro dei Comitati Total Reward Mondo Nestlè a Vevey e HR Mondo di Nestlè Water a Parigi – si descrive così: “Sono un laureato Bocconi. Ho una carriera differenziata, costruita in ambito multinazionale e, con differenti prospettive, il mio lavoro ha sempre avuto nelle persone un importante minimo comun denominatore. Il Coaching è un elemento fondamentale del percorso manageriale, lavorando innanzitutto su se stessi, per essere poi in grado di aiutare gli altri. Continuare a lavorare su questi aspetti credo sia importante in tutte le fasi della propria vita e soprattutto oggi, considerando che la velocità del cambiamento e le incertezze continuano ad aumentare. Sono interessato al training per lavorare su me stesso, migliorare la capacità di aiutare collaboratori, colleghi o anche persone al di fuori della mia sfera professionale a trovare e mettere in campo tutte le loro energie positive.”
Ecco un articolo estratto dalla sua Tesi Finale sul Mental Coaching…
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Riordinando letture e materiali alla fine di questo primo percorso di approfondimento, riflettevo sull’essenza del Coaching. Se l’anima del Coaching è liberare il potenziale delle persone mi sono fatto una domanda che, come spesso accade, portava in se il germe della risposta: qual è l’essenza del metodo? Le domande! È sulle domande che si dipana il percorso di coaching, domande che aiutano a costruire un rapporto di fiducia e di alleanza, che aiutano a definire l’obiettivo, la situazione di partenza, le alternative e l’azione e a monitorare l’avanzamento. Bene niente di più facile, fare domande è una cosa che impariamo fin da bambini! Quante domande fanno i bambini quando cominciano a ragionare, curiosare e a vedere tutto quello che accade intorno a loro. Sembra le domande comincino verso l’età dei tre anni, quando il sistema cerebrale è maturo. Da quel momento i bambini cominciano a porsi diversi interrogativi ampliando i vari ambiti della loro percezione dalle cose che li circondano (cos’è questo?), alle variabili spazio temporali (dove, quando?), alle dinamiche e ai rapporti causa-effetto (perché succede così? come funziona? cosa succede se?).
Quelle del bambino sono domande in libertà che a volte spiazzano nella loro semplicità o ci riportano a temi su cui da sempre si interroga l’essere umano: chi siamo, la nascita, l’amore, l’amicizia, la morte. I manuali di Coaching ci vengono incontro ed elencano liste di domande, domande aperte, domande potenti, domande da fare da non fare, ma le domande sono come la musica e come la buona musica non sono solo un insieme di note, non basta conoscere lo spartito per farne una valida interpretazione e coinvolgere il pubblico.
Le domande e il potere della parola. Alla voce domandare una definizione è quella di “…Cercare con parole adeguate di avere un’informazione o un chiarimento”. Ovviamente la domanda è fatta di parole ma perché la domanda colga nel segno, ha bisogno quindi di “cercare parole adeguate”. “Ne uccide più la lingua che la spada” dovrebbe essere un monito per chiunque lavori con le parole, avendo quindi la consapevolezza che certe volte le parole possono far male, anche più del male fisico, quindi vanno maneggiate con cura. Abbiamo visto come porre domande rappresenti una tappa importante nella vita di un bambino per integrare quanto gli deriva dalle percezioni sensoriali e le risposte per lui rappresentano un contributo fondamentale nella definizione delle sue mappe valoriali. Le parole comunicano le nostre idee, le nostre convinzioni, le nostre emozioni agli altri ma anche, e soprattutto, a noi stessi e assieme alle nostre azioni, arrivano a definirci. Le parole possono essere evocative di circostanze, accadimenti, emozioni. Sia le parole che abbiamo detto che quelle che ci sono state dette, in un certo modo o in un momento particolare della nostra vita condizionano il nostro essere e la visione che abbiamo di noi stessi. Come certe immagini, certe esperienze sensoriali, alcune parole, sono in grado di stimolare anche la nostra parte profonda.
L’uomo dispone di uno strumento straordinario, appunto il linguaggio, ma non tutti siamo consapevoli delle cose meravigliose che si possono fare utilizzandolo in modo attento e consapevole. Il Coaching lavora nel presente e guarda al futuro quindi oltre a tale consapevolezza, l’uso delle parole va orientato in tale direzione. Costruendo le domande con le parole giuste possiamo sfruttare anche il potere evocativo delle parole e liberare il potenziale delle persone, generare emozioni ed energie positive. L’uso inappropriato delle parole per contro può guidarci verso stati poco utili o addirittura a resistenza, chiusura. Le parole che scegliamo per descrivere le esperienze influenzano la nostra stessa esperienza di vita, ma possono anche modificare la percezione delle altrui esperienze.Con questa consapevolezza dobbiamo cominciare il nostro dialogo affinando e sintonizzando anche le nostre parole, il nostro vocabolario con il nostro interlocutore per creare la base della collaborazione, della condivisione e la fiducia reciproca.
La liberazione del potenziale delle persone è il fine ultimo del Coaching, la fiducia è il terreno sul quale edificare, la domanda, in simbiosi con l’ascolto attivo, è il cuore del metodo, l’empatia il collante e infine la responsabilità è il materiale con cui costruire noi stessi ed il mondo che ci circonda.
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