Qui di seguito un estratto della Tesi di Chiara Mariani elaborata in occasione del Corso di Mental Coaching, organizzato dalla Società Sportiva Bocconi Sport Team in collaborazione con i Docenti/Coach Amanda Gesualdi ed Alberto Biffi (University Coaching), presso l’Università Bocconi di Milano.

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Ho la fortuna di allenare pallacanestro da parecchi anni. L’evoluzione del gioco è stata veramente veloce e profonda. Il modello di pallacanestro in questo momento è quello “integrato” secondo i principi espressi da Coach Capobianco, nel quale partendo dai fondamentali tecnico/tattici, si valuta come prendere e mantenere un vantaggio, si amplificano i concetti di autonomia e collaborazione per arrivare a definire il tipo di giocatore, allenatore, squadra e relazione.

In questi anni ho visto un’evoluzione fisica (maggior dinamismo, velocità e verticalità), e una tecnico/tattica altrettanto notevole, ma, perché la valutazione dell’impatto delle motivazioni dei bisogni e delle emozioni non ha avuto la stessa evoluzione? Partendo da questa domanda nel 2017 mi sono iscritta al primo anno del Corso di Mental Coaching in Bocconi, proseguito poi nel 2018 con il secondo anno Pro: volevo aumentare le mie conoscenze nell’ambito motivazionale, per poi trasmetterle ai miei giocatori.

Spesso vedendo una partita con dei colleghi ci siamo detti: ma guarda quel giocatore, se avesse la testa potrebbe giocare in serie A; e, ancora più spesso: ma guarda quella squadra, ha un talento infinito ma non ha “chimica”; se fosse veramente squadra sarebbe imbattibile e invece… Bene, da questi due punti sono partita per vivere un percorso formativo che mi portasse, se non a risolvere, almeno a provare a capire e migliorare queste due “carenze” direttamente sul campo. Ora che ho degli strumenti in più, cosa posso fare per quel giocatore che ha le potenzialità di arrivare in NBA/WNBA? La base sulla quale lavorare è l’analisi dei modelli di riferimento, e cioè di quelli che ce l’hanno fatta; perché loro sono arrivati lì? Cos’avevano più degli altri? Un esempio per me fondamentale è Kobe Bryant. Nessuno nega che avesse un talento fisico e tecnico smisurato, ma da solo sarebbe bastato? Io dico di no. La realtà è che questo altleta ha improntato la sua vita su un obiettivo ben chiaro, emulare il suo idolo Micheal Jordan e l’ha fatto con un bisogno di perfezione quasi “maniacale”, con uno studio ai limiti dell’ossessivo. Quello era il suo “bisogno primario”: eguagliare MJ. Così egli ha analizzato i suoi gesti, ripetendoli e visualizzandoli migliaia di volte, fino ad arrivare a riprodurli in campo e a vincere quanto lui. Nella vita sportiva di K.B. è facile capire l’importanza del lavoro mentale e scorgervi la Teoria della Piramide di Maslow; è agevole vedere i bisogni “primari” e cioè quelli che portano la persona alla sua realizzazione e alla sua autostima. Il bisogno di Kobe era ben evidente doveva diventare il numero uno!

Più o meno consapevolmente è stato il grande Mental Coach di se stesso: ha creato una “road map” di quello che doveva fare ed entro quando farlo, visualizzando ogni giorno il suo percorso e i singoli gesti. Partendo dall’esempio di K.B. (ma se ne potrebbero citare tantissimi altri in altri sport), ho compreso che avrei dovuto cambiare l’approccio con i miei giocatori/giocatrici e iniziare a chiedermi: che cosa vuole veramente quel ragazzo/a? qual è il suo reale bisogno? Sono sicura che quel ragazzo/a abbia come desiderio quello di arrivare in serie A? È un approccio del tutto nuovo, prima mi ponevo come obiettivo quello di portarli alla massima categoria che il loro talento gli consentisse di raggiungere (la serie A o la serie Z) ora ho l’obiettivo di guidare il mio giocatore verso la realizzazione del suo desiderio. Il mio lavoro, quindi, ogni anno dovrà iniziare con l’individuazione degli obiettivi di ogni singolo ragazzo/a. Stabiliti gli obiettivi, cercare di aiutarlo a costruire una sua road map, individuando step intermedi di verifica. Assieme all’allenamento tecnico/tattico sarà quindi fondamentale programmare all’inizio stagione anche una parte di allenamento da dedicarsi all’aspetto mentale.

Il secondo punto che vorrei analizzare è il concetto di squadra. C’è una massima zen che mi ha fatto molto riflettere: “Quando un pesce nuota nell’oceano non c’è limite all’acqua, non importa quanto lontano il pesce nuoti. Quando un uccello vola nel cielo non c’è limite all’aria non importa quanto lontano l’uccello voli. Comunque il pesce o l’uccello non si erano mai allontanati dal proprio elemento fin dall’inizio.” In un gruppo ci sono pesci e uccelli ma se chiediamo al pesce di volare o all’uccello di nuotare, tutto diventa impossibile; quindi il primo concetto dal quale voglio partire per costruire un gruppo è trovare ad ognuno il suo ruolo; e da cosa deriva il ruolo di ciascuno? Anche qui dal singolo bisogno, dal singolo desiderio, dalla singola motivazione che vanno fatte collimare in un unico obiettivo, desiderio e motivazione comune; solo così si può creare un gruppo vincente. Se ognuno ha un proprio ruolo nel quale si riconosce, ha fiducia in se stesso e nei compagni, in queste condizioni è possibile costruire una road map di “gruppo”, con l’obiettivo finale che collima con il desiderio comune.

Ho provato ad unire tutti i concetti cestistici a quelli appresi in questo percorso e ho costruito un mio modello di basket integrato, visibile nell’immagine sottostante:

Chiara Mariani – Mental Coach Pro – Basket Coach

mariani.chiara70@gmail.com

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