Ecco come Andrea Pellacani – neo Mental Coach Pro, con un Master in Business Administration presso SDA Bocconi, ed un’esperienza commerciale internazionale maturata nel settore della moda come Senior Retail e Wholesale Manager – vede il Mental Coaching; buona lettura!

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Ho iniziato ad avvicinarmi al Mental Coaching circa 3 anni fa, mentre stavo terminando un MBA. L’incontro avviene forse grazie alla mia curiosità e all’esigenza di adottare un modello formativo efficace, per chi come me lavora all’interno di una organizzazione che opera in ambito B2B e B2C. Nella maggior parte dei casi i programmi formativi o di sviluppo personale sono fatti di regole, tool, modelli vincenti ed una serie infinita di strumenti, senza mostrarci chiaramente i passaggi complessi e necessari per implementare stabilmente l’uso del modello desiderato/target.

Spesso l’implementazione di un nuovo strumento in ambito personale o lavorativo, si scontra con la nostra reale predisposizione al cambiamento. Ecco che alla fase iniziale di esaltazione per l’introduzione del nuovo modello, seguono le fasi legate al mantenimento della nostra confort zone. Il risultato è che il cambiamento evolutivo resta troppo spesso al di sotto delle aspettative. Il fatto che nel tempo si sia arrivati a fotografare il processo in modo chiaro (figura a fianco), non ha risolto il problema. Raramente la risultante è la linea positiva “integrazione”; statisticamente ci si ritrova più spesso nella linea tratteggiata “business as usual” o peggio nella linea “rassegnazione/lamentela”. Un esempio banale ma efficace ci viene dalle diete, che portano la quasi totalità delle persone che le seguono ad iniziarne costantemente senza risultati o, nei casi migliori, a calare salvo poi ritornare allo stato precedente.

Anche se non ho mai seguito diete, nella sostanza il mio percorso non è diverso; potrei citare svariati testi di autoformazione quali Getting things doneThe 7 habits of highly effective people, alcuni testi di PNL, ed altri corsi di leadership. Tutti interessanti e validi. Ricordo che dopo aver letto Getting things done ho accantonato subito i vari tool appresi, ed ho continuato con la vecchia “lista delle cose da fare” che avevo iniziato ad usare al liceo. Forse la mentalità consumistica che contraddistingue il mondo occidentale e in particolare quello europeo, è arrivata a cambiare profondamente il nostro approccio. E così ci troviamo a pagare per avere strumenti di evoluzione personale senza sapere se ne abbiamo veramente bisogno; senza sapere se siamo disposti a fare i sacrifici necessari per evolvere da A a B; senza sapere se abbiamo le risorse necessarie per fare quel percorso d’un fiato o se invece dovremmo prevedere step intermedi.

Partendo dall’esigenza di trovare una prospettiva diversa, il Mental Coaching mi ha mostrato un nuovo scenario. Mi ha fatto comprendere che per affrontare il cambiamento e per mettere a frutto le nostre potenzialità, è necessario adottare modelli complessi e articolati; è necessario un approccio olistico. Il Mental Coach diventa una guida fondamentale. Attraverso un approccio oggettivo e metodologico aiuta il Coachee, l’allievo, a comprendere meglio i propri bisogni, a fissare obiettivi chiari e a perseguirli attraverso strumenti concreti che, passo dopo passo lo portano… a “completare la dieta” con successo, ma soprattutto a cambiare il proprio metabolismo; ad un cambiamento duraturo nel mondo professionale; ad allenarsi benissimo per una competizione. Ecco che con il coaching, la preparazione del’atleta può arrivare ad un livello di coinvolgimento fisico, mentale e psichico, che supera il solo obiettivo del successo di gara, e si eleva alla ricerca della perfezione del gesto atletico. L’allenamento acquista ora un nuovo significato più vicino alla tradizione orientale, e lo sportivo si trasforma nell’Atleta Zen che descrive Amanda Gesualdi nel suo libro.

Attraverso il corso di Mental Coaching 1° livello, ho potuto sperimentare il Coaching su me stesso, acquisendo una maggiore consapevolezza e comprendendo l’importanza dell’equilibrio tra mente e corpo. Il guru del Coaching, Timothy Gallwey, ci spiega bene questo concetto fondamentale. “C’è sempre un gioco interiore in corso nella nostra mente, non importa in che gioco siamo impegnati. Il modo in cui lo affrontiamo è quello che spesso fa la differenza tra il nostro successo e il nostro fallimento”. Solo dopo che abbiamo compreso l’importanza di acquisire la consapevolezza del Sé, e dell’equilibrio tra mente e corpo, possiamo definire obiettivi chiari e raggiungibili.
A questo punto siamo pronti per passare alla fase successiva di miglioramento dell’abilità, verso il goal che ci siamo prefissati.

Oggi per me essere Mental Coach significa essere un punto di riferimento del Coachee nella realizzazione delle proprie potenzialità, affiancandolo nel viaggio che lo porta a raggiungere gli obiettivi che si è dato. Questo si traduce in un’attività che basandosi sui valori dell’ascolto, dell’incoraggiamento e del sostegno, affronta assieme al Coachee i successi e gli errori del suo percorso di sviluppo. Il Mental Coach ha un metodo ed un ambito d’azione ben definito, non mira a sostituirsi alla terapia psicologica, non indaga il passato e non mira a rimuovere eventuali blocchi personali. Il modello di lavoro che ho appreso prende spunto dal metodo G.R.O.W., letteralmente “crescita”, sviluppato da John Whitmore.

• G, sono i Goal, gli obiettivi del Coachee. Ogni obiettivo deve essere reso raggiungibile dividendolo se necessario in passaggi intermedi che comprendano scadenze, ostacoli e soluzioni, verso il goal finale. Si crea così una vera e propria road map.

• R è la Reality, la realtà che dobbiamo conoscere prima di iniziare il percorso. Questa è una fase fondamentale, attraverso la quale il cliente deve arrivare ad avere consapevolezza della realtà esterna in senso ampio (contesto famigliare, lavorativo, di squadra, scolastico…) valutandone potenzialità e minacce. In questo momento diventa ancor più importante che il Coachee conosca senza timori alcuni tratti della propria personalità, con i suoi punti di forza e di debolezza. Potremmo chiamarla realtà interiore. Prima di passare al piano d’azione, diventa infatti importante conoscere bene il proprio livello di motivazione, di fiducia, di resilienza e di empatia; magari scendere più in profondità per comprendere le basi del funzionamento di mente e corpo, e ancor più giù, fino al percorso archetipico se necessario. Il Cliente deve essere aiutato a definire bisogni e desideri, che potrebbero anche non essere legati al goal principale. L’obiettivo di questa fase di studio della personalità è quello di aumentare la consapevolezza del sé, comprendendo come sono posizionati i piatti della bilancia mente e corpo, ed iniziare a capire i passaggi necessari a trovare l’equilibrio. Una volta giunti al termine dell’analisi della realtà, è opportuno controllare nuovamente ed eventualmente integrare la road map dei goal, con gli step necessari. Questo passaggio impone al Coachee che vuole perseguire l’equilibrio, di prepararsi a coltivare il non giudizio, ad accettare gli errori, a perdonarsi e ad imparare a trovare l’opportunità dentro al problema; per fare questo deve chiedersi che cosa è disposto a lasciare andare, consapevole che il dolore della perdita diventa il primo passaggio di ripartenza.

• O sono le Option, le opzioni che grazie agli step precedenti sono diventate chiare e tra le quali si deve scegliere. Capire che cosa si è disposti a lasciare andare è il primo passaggio nella scelta delle opzioni.

• W sta per Will, volontà. È l’insieme delle attività necessarie per raggiungere l’obiettivo. Ci siamo, si parte!

Il Mental Coach alimenta il flusso di attività operative del Coachee, assumendo un ruolo fondamentale per il successo del progetto. Le attività principali: – prevedere chi, che cosa, dove, quando e come verrà sviluppato il piano d’azione – selezionare gli strumenti di supporto allo sviluppo delle potenzialità del Cliente, facendo attenzione a trasmetterle in modo chiaro, curando quindi, la visualizzazione, il dialogo interno, la concentrazione e il focus, le letture e altri strumenti che verranno ritenuti di volta in volta necessari – ispirare il Cliente, enfatizzando i punti di forza e i risultati man mano che lo stesso svolge attività o competizioni. Come ci insegna Mauro Berruto, “solo idealizzando la persona o la squadra per ciò che può diventare, riusciamo a tirarne fuori il meglio.” – Gestire i feedback al Coachee, valutare le prestazioni sportive o i risultati lavorativi creando dove possibile statistiche oggettive, da commentare e confrontare con le impressioni soggettive del Cliente; utilizzare questionari e test in modo costante, per vedere come l’approccio e le sensazioni del Cliente si modificano nel tempo – Chiedere feedback sull’andamento delle sessioni e più in generale del percorso.

Grazie Alberto e Amanda! Andrea

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