Uno dei film che viene chiesto di analizzare durante i percorsi proposti da University Coaching, è “Agorà”, che racconta la storia di una donna straordinaria: Ipazia d’Alessandria.

Ipàzia è stata una matematica, astronoma, filosofa greca antica. Rappresentante della filosofia neo-platonica, la sua uccisione da parte di una folla di cristiani in tumulto, l’ha resa una “martire della libertà di pensiero”.

Le fonti antiche sono concordi nel rilevare come non solo Ipazia fosse stata istruita dal padre nella matematica ma, sostiene Filostorgio, anche che “ella divenne migliore del maestro, particolarmente nell’astronomia e che, infine, sia stata ella stessa maestra di molti nelle scienze matematiche”. Filostorgio non è soltanto uno storico della Chiesa, ma anche un appassionato, se non un esperto, di astronomia e di astrologia, e le sue affermazioni trovano conferma in Damascio il quale scrive che Ipazia “fu di natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene dalle scienze matematiche alle quali lui l’aveva introdotta, ma non senza altezza d’animo si dedicò anche alle altre scienze filosofiche”.

Fino agli ultimi anni della sua esistenza, la Scuola Alessandrina godette di piena libertà di pensiero, elemento essenziale per il fiorire di una cultura, e fece compiere importanti passi avanti in numerosi campi che diventeranno fondamentali nel Rinascimento: la geometria quantitativa piana e solida, la trigonometria, l’algebra, il calcolo infinitesimale e l’astronomia. Sinesio frequentò sia la Scuola di Alessandria sia quella di Atene, ma “l’Atene di oggi” — scrisse al fratello Evozio — “non ha nulla di eccelso a parte i nomi delle località […] al giorno d’oggi l’Egitto tiene desta la mente avendo ricevuti i semi di sapienza da Ipazia”.

La filosofia è l’unità delle conoscenze, “la scienza delle scienze”, ma è anche il mezzo con il quale l’uomo comunica tanto con i suoi simili che con Dio: non si tratta, pertanto, di una comunicazione mistica o fondata su pratiche magiche, bensì razionale e tipica dell’uomo, il quale non è infatti “un puro spirito, ma uno spirito calato nell’anima di un essere vivente”. Ipazia era giunta a tanta cultura da superare di molto tutti i filosofi del suo tempo, a succedere nella Scuola Platonica riportata in vita da Plotino e a spiegare a chi lo desiderasse tutte le scienze filosofiche. Per questo motivo accorrevano a lei da ogni parte tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico.

Un’altra testimonianza proviene da Damascio, che alla fine del V secolo si stabilì ad Alessandria. Egli scrive che “Ipazia, gettandosi addosso il mantello e uscendo in mezzo alla città, spiegava pubblicamente a chiunque volesse ascoltarla Platone o Aristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo”.

Un altro elemento che viene sottolineato dalle fonti antiche è il pubblico insegnamento esercitato da Ipazia verso chiunque volesse ascoltarla: l’immagine data di una Ipazia che insegna nelle strade sembra sottolineare un comportamento la cui audacia sembra voluta, come un gesto di sfida e, a questo proposito, va rilevato che quando Ipazia comincia a insegnare, nell’ultimo decennio del IV secolo, ad Alessandria sono stati appena demoliti i templi dell’antica religione per ordine del vescovo Teofilo, una demolizione che simboleggia la volontà di distruzione di una cultura alla quale anche Ipazia appartiene e che ella è intenzionata a difendere e a diffondere.

Ella era ascesa a quella luce che poteva splendere più fulgida di ogni sapienza, di ogni conoscenza di quei tempi. Era mirabile come nelle aule scolastiche di Ipazia giungesse agli uditori entusiasti la sapienza più pura, più luminosa di Alessandria. Ella costrinse ai suoi piedi non soltanto i vecchi pagani, ma anche cristiani di profondo sapere e di acuta penetrazione come Sinesio.

L’8 marzo del 415 Ipazia d’Alessandria, viene assassinata da una folla inferocita, preda dal fanatismo religioso. Furono i  cristiani a smembrare il suo corpo, rappresentando questo evento brutale la dispersione dell’antica conoscenza misterica. Questo fatto si collega in modo occulto alla moderna Festa della Donna. Sotto falsi pretesti andarono a prendere la savia vergine, la fecero salire in una carrozza, e a un segno dato la plebaglia furiosa si gettò su di lei, lacerandole le vesti; la trascinarono poi in una chiesa e alla lettera le strapparono le carni dalle ossa. Venne scarnificata, fatta a pezzi, e i brandelli del suo corpo vennero trascinati in giro per la città dalla folla disumanizzata dalla passione.

Lo spirito ed il sapere di Ipazia si è diffuso nei successivi mille anni fino a dare vita al Rinascimento.

Nel celebre affresco La Scuola di Atene di Raffaello Sanzio la figura che rappresenterebbe un giovane amico di Raffaello, Francesco Maria della Rovere, viene identificato con Ipazia.

 

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