Un articolo da Christian Nobile, Mental Coach Pro ed Ambassador UC.

Buona lettura!

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Il Mental Coaching è l’arte del fare domande, per creare consapevolezza, per accompagnare fuori dalla comfort zone, domande che facciano scattare un ragionamento e facciano evolvere l’atleta. Credo che la domanda più potente di tutte sia molto semplice: Perché?

Dietro ad un perché si possono nascondere scuse, possono celarsi verità e lati del carattere di una persona che non erano immaginabili. A livello personale tutte le nostre azioni sono il risultato della nostra consapevolezza, del nostro contesto e di quello che crediamo di meritare. Domandarsi perché ci troviamo in una determinata situazione, sia negativa che positiva, crea un senso di responsabilità personale e di consapevolezza che non tutti sono pronti a vedere e accettare. Rispondendo sinceramente sposteremo il focus sul percorso e su tutto quello che abbiamo fatto per arrivare ad un determinato punto.

Molto più comodo dare la colpa a fattori terzi, come ad esempio la sfortuna o la fortuna, molto più comodo scaricare la responsabilità rispondendo al perché con fattori che non possiamo controllare o che non dipendono da noi. La verità è che ci riempiamo di illusioni, la fortuna o la sfortuna non esistono, esiste la persona, il suo potenziale e la sua evoluzione. Prendere coscienza del fatto che siamo noi a controllare quello che ci accade intorno, e che la differenza la farà come gestiremo le interazioni con il contesto e come reagiremo alle difficoltà, vuol dire rispondere bene alla domanda Perché?.

Perché? ci fa anche capire se stiamo percorrendo la strada giusta, ci focalizza sulla motivazione e le ragioni che stanno dietro alle nostre azioni. Mostra cosa sta ardendo dentro di noi, giustifica i sacrifici e dimostra se vogliamo realmente una cosa. Per creare una similitudine sportiva “Tutti vogliono vincere, ma pochi sono disposti a pagarne il prezzo”, questo vale in tutti gli ambiti della nostra vita. Quando la fatica del percorso ci sovrasta, quando stiamo per mollare o per lasciar perdere, ricordarsi Perché stiamo facendo una cosa può far la differenza tra l’avere successo o fallire.

Ritengo ancora più fondamentale rispondere alla domanda Perché? quando si lavora in team. Non credo che nessuno faccia qualcosa solo per i soldi, come mostra Maslow i nostri bisogni personali (una volta appagati i primari), vanno ben oltre il denaro. In ambiente lavorativo ogni team leader dovrebbe conoscere i Perché? del proprio gruppo di lavoro, servirebbe per conoscere meglio le persone e tirarne fuori il meglio, servirebbe a responsabilizzarle e guidare il gruppo verso un obiettivo comune. Questo genere di risposta, elimina le scuse, crea un Team e non un gruppo di lavoro.

Vi porto una mia esperienza in ambito sportivo. Sono il capo allenatore di una squadra di football americano; per contestualizzarvi l’ambiente del football italiano, si parla di una rosa di 56 giocatori che vanno dai 18 ai 40 anni, dilettanti, nel nostro caso gestiti da dilettanti e con una dirigenza dilettante. Diciamo che l’unica figura semi professionista sono io. Giocare a football americano, però, richiede da parte di tutte le parti in causa (società, giocatori, allenatori) un impegno semi professionistico dato che l’ideale sarebbe fare tre allenamenti in campo e tre in palestra, sedute di teoria, sedute di fisioterapia e tutto il resto. Tutte le persone coinvolte hanno da gestire le loro interferenze: la famiglia, il lavoro, il tempo libero. Aggiungo che, a parte alcuni che prendono piccoli rimborsi, si fa tutto questo gratis. Non sottovalutiamo anche che il football americano è uno sport di contatto, con tutto quel che ne consegue. Credo che in ogni genere di Team l’obiettivo e la motivazione non debbano cadere dall’alto, ma essere sentiti e vissuti da ogni singolo membro.

Nel 2020 ho “preso in mano” la squadra e ho sottoposto un questionario dove la prima domanda era “Perché giochi a football?”. Tra i giocatori, gli allenatori e i dirigenti ho raccolto questi risultati:

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È interessante vedere come il 74% delle risposte non abbia per nulla a che vedere con qualche lato specifico del Football Americano. Il Perché? della mia squadra è legato al bisogno di sentirsi parte di qualcosa, di provare emozioni forti, di avere uno sfogo dalla vita di tutti i giorni, e perché vedono nello sport una rappresentazione della vita dalla quale attingere e prendere ispirazione ogni giorno.

Le altre domande sono state “quali sono i tuoi obiettivi personali per il 2021?” e “quali sono i tuoi obiettivi per i Vipers per la stagione 2021?”, a queste due la maggioranza delle risposte riguardava il voler vincere il campionato e il migliorare personalmente. Sintetizzando, la squadra ha riconosciuto di volersi unire, di voler provare emozioni forti e di sentirsi speciali. Il metodo per raggiungere l’obiettivo era quello di vincere il campionato e migliorare singolarmente. In pratica il mio compito è stato quello di creare la road map, e nei momenti di smarrimento ricordare il perché ci trovavamo insieme su quel campo a giocare a football, perché stavamo sacrificando tempo alla famiglia e al lavoro.

La potenza del perché è sintetizzata da Sean Fitzpatrick nel libro “Niente Teste di Cazzo” di James Kerr. Cito testualmente:
Se chiedi alla maggioranza degli imprenditori o degli sportivi quale sia la cosa più importante nella vita”, afferma Sean Fitzpatrick “risponderanno che al primo posto c’è la famiglia e poi il lavoro. Ma se rifletti bene, ti dirai: “be’ in realtà non è così, il lavoro è al primo posto e la famiglia al secondo.” E poi penserai di essere una persona orribile. Ma se vuoi diventare il migliore al mondo, devi mettere il lavoro al primo posto […] devi fare enormi sacrifici.

Dietro al Perché? si nasconde la base della nostra motivazione e l’arma più importante di analisi del percorso. Ci consente di evolverci e migliorare, di raggiungere i nostri obiettivi e comprenderli, accettando il prezzo che c’è da pagare. Qual è e quanto è forte il tuo Perché?

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