Qui di seguito un estratto della Tesi di Laura Cianci elaborata in occasione del Corso di Mental Coaching, organizzato dalla Società Sportiva Bocconi Sport Team in collaborazione con i Docenti/Coach Amanda Gesualdi ed Alberto Biffi (University Coaching), presso l’Università Bocconi di Milano.

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Negli ultimi anni si sente parlare spesso di hard e soft skill in un contesto di Digital Transformation e Industry 4.0. Le prime riguardano quelle competenze tecniche, che permetteranno ai dipendenti di domani, di saper interpretare e analizzare i dati della digitalizzazione, di saper usare l’intelligenza artificiale, di parlare e interagire con le macchine in una ipotetica fabbrica del futuro; mentre le seconde sono quelle capacità uniche di ciascun essere umano, che rientrano nella sfera emotiva e caratteriale, che differenzieranno l’uomo dai robot. Perché sono così importanti? Come cita Talent Manager, secondo lo Stanford Research Institute International, il 75% del successo di un lavoro a lungo termine dipende dalla padronanza delle soft skill contro il 25% delle competenze tecniche.

Cosa sono le soft skill? Sempre secondo Talent Manager le soft skill, o competenze trasversali, riguardano le qualità personali, l’atteggiamento in ambito lavorativo e le doti relazionali. Si tratta, quindi, di quelle inclinazioni personali che permettono di capire gli altri, anche a livello di emozioni e sentimenti. Sono quindi quelle abilità molto più difficili da acquisire e anche da misurare. L’esatto contrario, insomma, delle hard skill, ovvero le competenze tecniche, definite e più facilmente misurabili.

Ma perché sono così importanti? Perché ci permetteranno di distinguerci dai robot e di migliorare le relazioni tra le persone, che, in contesti organizzativi sempre più competitivi e complessi, saranno fondamentali. Ma anche perché le nuove generazioni, identificate come i nativi digitali sanno usare molto bene lo smartphone e i social, ma non comunicano tra di loro. Interagiscono più digitalmente che nella vita reale, tanto che 7 su 10 preferiscono mandare messaggi di testo piuttosto che parlare (questo è emerso da una recente ricerca di Rurik Bradbury, manager di LivePerson negli Stati Uniti). Un’altra caratteristica evidenziata dallo studio è che condividono tutto sui social, ma non sono capaci a lavorare in team.

Perché è necessario partire dai giovani? Gli studenti di oggi saranno i manager di domani, facilitare lo sviluppo di alcune competenze forse permetterà di colmare quel gap di cui tanto si parla. Secondo Mario Cardone, Direttore generale Federmanager, “Lo scenario complessivo vedrà una forza lavoro multitasking, cooperativa, perfettamente integrata nelle dinamiche produttive e maggiormente coinvolta nei processi decisionali e nelle attività manageriali, in un’ottica partecipativa. Vale a dire incentivare nuovi modelli di governance e soprattutto una maggiore diffusione di manager innovativi. Per valorizzare un’impresa occorre partire da chi la guida, altrimenti tutto l’impegno profuso rischia di essere solo un buon proposito, ma con una scarsa possibilità di successo.” Partendo dalle parole di Cardone, ho pensato che per far crescere un manager innovativo, bisogna sviluppare alcune doti comunicative, relazionali ed empatiche fin da subito, dall’età della scuola, per poterle assimilare e farle proprie. Questo il motivo che mi ha spinto a pensare ad un progetto per l’Alternanza Scuola Lavoro in cui gli strumenti del Coaching rappresentassero l’essenza del percorso di questi ragazzi. La potenza del Coaching permette di far sperimentare loro un’opportunità di crescita personale e professionale, che si concentra sui loro punti di forza, utili per il raggiungimento dei loro obiettivi, che in questo caso sono rappresentati da alcune soft skill: Intelligenza emotiva, Comunicazione efficace, Team working, Problem solving, Pensiero critico e Pensiero creativo, attraverso un piano di azione condiviso con loro.

Come si possono sviluppare tali competenze? Attraverso la relazione, il confronto, la condivisione, la consapevolezza dei propri valori, che con il Coaching è più facile rafforzare e facilitare. Pensando alla fascia di età compresa tra i 16 e i 18 anni, ho pensato a dei format e role game, che permettessero loro di confrontarsi, interagire tra di loro e fare gruppo. Durante alcune sessioni di Team Coaching, i ragazzi e le ragazze vengono coinvolti e stimolati, attraverso domande aperte ed esplorative, a riflettere sui valori, le passioni, le emozioni e le proprie qualità, cercando aree di miglioramento e mettendo giù piani per raggiungere obiettivi, che spaziano da una maggiore consapevolezza di chi sono, di come comunicano e come lavorano in gruppo e risolvono problemi, fino a una presa di coscienza su come ragionano con la propria testa e affrontano gli ostacoli attraverso un cambiamento di scenario.

In che cosa consiste il progetto? Il format che ho creato per lo sviluppo delle competenze è stato strutturato attraverso alcuni passaggi che seguono il modello GROW di John Whitmore rivisto in: Goal target – Discover alternatives – Action plan – Obstacles – Recap. Parlando di Intelligenza Emotiva, ad esempio, ho considerato importante come traguardo: sviluppare la consapevolezza di sè, che ho tradotto in scoprire se stessi. Le domande spaziano da “Come mi vedo io”, “Come mi vedono gli altri”, “Come vorrei essere visto”, “Che cosa vorrei migliorare del mio modo di fare”. Successivamente, in base alle risposte, si passa all’organizzazione del piano d’azione, seguendo l’ordine delle priorità, delle tempistiche e dell’importanza delle azioni. Il momento più bello ed interessante è di sicuro quello del recap, dove si scoprono le vere emozioni e che cosa ha lasciato l’esperienza vissuta in questa occasione.

E le reazioni dei ragazzi? Una grossa differenza distingue le ragazze dai ragazzi. Le prime sono più aperte, perché più inclini a condividere alcuni aspetti del loro carattere, mentre i secondi sono più distaccati e impiegano più tempo a lasciarsi andare e a parlare di loro stessi. Quello che li spaventa di più all’inizio è il disorientamento per i temi da trattare e l’imbarazzo di dover condividere alcuni aspetti di loro stessi con gli altri, ma dopo i primi step, le timidezze svaniscono e si entra subito nel vivo della sessione, dove il coinvolgimento è assicurato da parte di tutti. I loro feedback positivi e i loro suggerimenti sono linfa vitale per me e mi spronano per migliorarmi e pensare a nuovi format.

 

Laura Cianci – Funnel Coaching® – www.funnelcoaching.it. – Il mio blog: www.socialfluency.it.

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