Alice Dealessi nasce a Genova il 18 Febbraio 1998 e inizia a giocare a tennis all’età di 8 anni presso il Circolo Tennis Canottieri Tanaro di Alessandria. Grazie alla passione e al legame con questo sport, la scorsa estate si è impegnata a ottenere una soddisfacente vittoria personale: raggiungere la terza categoria, passando da 4.2 a 3.4. Attualmente frequenta il secondo anno magistrale di Economics and Management in Arts, Culture, Media and Entertainment, percorso che sta ormai per concludersi, presso l’Università Bocconi di Milano. Alice fa parte del Team di Tennis Bocconi da 5 anni, contribuendo a creare squadra e raggiungere vittorie importanti. In questo articolo ci porta degli spunti di coaching tratti dal film “Steve Jobs”.

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Steve Jobs è un film diretto da Danny Boyle, e narra la biografia del capo carismatico della Apple, Steven Paul Jobs. La pellicola racconta per lo più della personalità di Jobs, e di come i suoi modi di approcciarsi alle persone e il suo spirito siano mutati col tempo. Tale mutamento viene rappresentato in momenti distinti e cruciali che hanno caratterizzato la vita del capo della Apple, in cui le persone e i rapporti cambiano insieme al protagonista.

Sin dall’inizio della pellicola si coglie il carattere e atteggiamento di Steve. Il film inizia proprio con il lancio del Macintosh che sembra però non voler collaborare. Infatti, il computer sembra presentare qualche problema tecnico e Steve vuole assolutamente che tutto funzioni alla perfezione. Si nota dunque un lato perseverante, accompagnato però da arroganza e durezza.  Lui ci crede nel suo prodotto, lui ci crede nel lavoro fatto alla base del computer e dunque nelle sue potenzialità.

Crede inoltre anche nelle potenzialità di tutti coloro che sono stati fondamentali per la realizzazione del computer, sebbene per la maggior parte della pellicola non sembra affatto così. Infatti, Jobs non ha mai fatto complimenti o lodato i suoi collaboratori, se non alla fine del film in maniera velata, senza dirlo direttamente. Anzi, specialmente all’inizio del film, tratta coloro che gli stavano attorno con arroganza, durezza e condiscendenza.

Dal film, dunque, si coglie quanto per lui la perfezione sia fondamentale. Affinché tutto possa essere perfetto, Jobs ha bisogno di avere il controllo. Per lui, infatti, ciò che conta è averlo sempre. Quindi, per avere il controllo, le sue idee non possono e non devono essere modificate da terze persone: in questo modo sono gli altri ad adattarsi a lui e al suo modo di lavorare. Un esempio lo si può trovare in merito all’idea del “sistema chiuso”, operante con un sistema di crittografia “end-to-end” in cui i dati dell’utente vengono protetti. Tuttavia, all’epoca, tale sistema era visto come un qualcosa di negativo, non adattandosi a nient’altro, in quanto gli altri computer avevano un sistema aperto. Si potrebbe dunque fare un paragone tra il sistema chiuso, che non si adatta a nient’altro, e alla personalità di Steve Jobs, anch’essa difficilmente adattabile ad altre persone o situazioni.

È importante però capire perché dietro a tanta intelligenza e genialità vi sia un carattere così duro. È importante capire il perché di determinati comportamenti, sia in ambito lavorativo, che privato, che sportivo. Per rispondere alla domanda, dunque, bisogna rifarsi all’infanzia di Steve Jobs. Lui stesso ammette di essere stato adottato e poi rifiutato dopo un mese di adozione. Questo gesto segnerà sempre Steve, dato che anche nel film si pone la domanda: “Cosa può aver fatto di brutto un bambino di un mese da essere rispedito indietro?”.

La pellicola rimarca un altro lato del carattere di Jobs, che è la perseveranza e il desiderio di eccellere. Nonostante la sua carriera sia stata caratterizzata da numerose “sconfitte” lavorative (quali il flop della commercializzazione del Macintosh e NeXT), non si è mai arreso, e si è sempre rimesso in gioco in quanto credeva nelle sue potenzialità. Vi è infatti una frase emblematica di Jobs il quale, dopo aver dovuto fronteggiare numerose sconfitte, sottolinea proprio questo suo lato caratteriale: “Ora sono qui, sono vivo, sono in gioco”.

Il film si conclude facendo emergere un lato del carattere di Jobs che non si era ancora visto, un lato umile e affettuoso. Innanzitutto, è importante ragionare su quanto sia difficile, specialmente al giorno d’oggi, ammettere di avere torto. Per quasi tutta la durata del film, non ha mai ceduto in tal senso con nessuno, in particolar modo con il suo fidato amico Bill Atkinson, con cui è iniziata l’avventura in un garage, e con la figlia Lisa.

L’ammettere di avere torto e il chiedere scusa può sembrare banale, ma non è assolutamente così, ed è fondamentale, sia per gli altri che per se stessi. L’ammettere i proprio errori non è una dimostrazione di debolezza, bensì di forza. Il riuscire ad aprirsi, l’accertare il pensiero altrui, il credere nell’intelligenza e nelle doti altrui, sono tutti atteggiamenti di apertura verso l’altro che però devono necessariamente includere (anche) umiltà. Il messaggio è che non siamo delle macchine, non siamo perfetti, abbiamo bisogno degli altri, del loro affetto e delle loro idee ed esperienze, in modo tale da imparare e migliorarci.

Per concludere, è importante far riferimento al rapporto che Steve ha con la figlia Lisa. Alla fine della pellicola, si vede un Steve Jobs completamente diverso rispetto a quello del resto del film: è un Steve Jobs umano, umile. Infatti, ammette di aver sbagliato (“Sono fatto male”) e per far capire alla figlia quanto ci tiene a lei, inizia in ritardo la conferenza, cosa che non era mai accaduta in precedenza. Si interessa inoltre alla figlia e alle sue abilità, dicendole di voler leggere dei suoi saggi prima della conferenza. Infine, cogliendo la grande passione della figlia, la musica, lui le promette che “le metterà 100, 500, 1000 canzoni in tasca”, in quanto Lisa ha sempre sentito la musica da un ingombrante walkman. E così è stato, inventando l’iPod. Dunque, con una tal delicatezza e dolcezza riesce ad arrivare al cuore di Lisa, dimostrandole che l’amore di un padre è un qualcosa di inspiegabile e che va ben oltre il successo e il lavoro.

Una volta concluso il film, nella mente di uno sportivo, ad esempio, si può pensare a come mettere in pratica la perseveranza (nonostante i fallimenti) e il desiderio di eccellere di Steve Jobs ma, allo stesso tempo, bisogna tenere a mente l’umiltà, nonché l’aprirsi alle opinioni altrui e il dare una possibilità agli altri. Sarà proprio il giusto bilanciamento tra perseveranza, talento e umiltà che contraddistinguerà sempre un vero “vincente”.

 

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